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  • Immagine del redattoreMilena Spino

Una domenica in Fondazione

Quando da un vecchio complesso industriale, ormai inutilizzato, delle menti geniali ne sanno ricavare un contenitore di arte contemporanea.

Non ho mai inserito all’interno dei miei post dei paragrafi dedicati ai musei, purtroppo ritengo che questi ultimi vadano visti di persona e non possano essere spiegati, però oggi vorrei proprio raccontarvi di questo complesso, che è definibile museo, ma che non è un museo. Personalmente io mi sento di definirlo uno ‘spazio’, spazio per l’arte contemporanea.

Sto parlando della forse conosciuta o forse no, Fondazione Prada, al cui interno è possibile trovare gabbie di vetro nel quale vi sono mosche morte suicide, spazi bui e una vista mozzafiato, se avrete l’intelligenza di andare in questo luogo di giorno (non come me…).

Bene per spiegarvi per filo e per segno di cosa stiamo parlando voglio cominciare dal principio della sua storia.

Siamo a Milano, vicino a Corso Lodi, quello di cui vi sto parlando fino a qualche anno fa era solo una distilleria in disuso.

Scoperto questo posto è arrivata la mano tanto delicata, quanto artistica di Miuccia Prada che, in unione all’ingegno dell’architetto olandese Rem Koolhaas è nato ciò che possiamo ammirare oggi. Una delle parti più belle, nonché panoramiche del complesso è la torre Atlas, che in unione a tutto il resto permette all’edificio di contare un totale di ben 10 edifici, il quale ospita opere realizzate a partire dal 1960.

Io sono giunta alla Fondazione intorno alle 18:00 di conseguenza per il tempo abbastanza limitato ho deciso di acquistare solo il biglietto per le mostre permanenti, per quelle temporanee tornerò tra non molto tempo. Proprio di queste mostre vi voglio parlare oggi.


La Torre Atlas

È un complesso di 9 piani, 60 metri di altezza ed una terrazza, non sempre aperta, che ha una visuale sul Duomo e sulla nostra madonnina. In questa torre troverete solo mostre permanenti , ma fateci caso, pian piano che salite i soffitti della sale diventano sempre più alti e le istallazioni sempre più claustrofobiche.


La visita comincia al secondo piano, qui ci sono i Tulips di Jeff Koons, che sono stati realizzati in ben 9 anni. Perché sono così speciali, ma soprattutto perché sono così amati? Perché a vederli da lontano sembrano delle poltrone giganti colorate, ma nella realtà sono tutt’altro.




Il
















Il terzo piano ci fa immergere nel anni di Happy Days che tre Chevrolet Bel Air del ’55, con il retro panna e il frontale rosso. A noi forse parranno gigantesche, ma in realtà queste erano le dimensioni delle auto dell’epoca. C’è però una cosa che mi ha stupita, ossia che all’interno di tutte e tre le auto c’erano tre pesanti barre d’acciaio che erano situate nell’abitacolo di ciascuna delle tre auto.


Al quarto piano cambia radicalmente l’umore delle stanze stesse e di conseguenza anche di coloro che vi fanno visita. Ci troviamo dinanzi ad un tappeto di chiodi, una serie di mobili carbonizzati, in un’installazione di Mona Hatoum chiamata “Remains of the Days”. Questa è la chiara dimostrazione di ciò che ne rimane dei tempi passati.


Al quinto piano c’è invece Pelo, un gigantesco pouf, peloso, che dà su una vetrata dietro alla quale si affaccia tutta la città di Milano. Unico peccato? Non ci si può sedere sopra, ma rende l’idea della sua morbidezza anche stando in piedi.


Salendo nuovamente, ci troviamo al sesto piano; qui c’è il ristorante (di cui non ho potuto usufruire) e al settimo piano invece c’è la toilette che però è adibita solo a coloro che hanno cenato/pranzato o comunque avuto una consumazione all’interno del ristorante.


Giungiamo ora all’ottavo piano. Qui appesi alle pareti ci sono dei quadri di William N. Coopley che risalgono ai primi anni ’70. Questi quadri narrano di sesso in maniera moooolto esplicita. Al centro della sala invece vi sono delle grandi gabbie in vetro. Nella prima teca c’è un ombrello che ripara delle anatre dalla pioggia. Nella seconda, è raffigurata la vita e la morte. La teca di Damien Hirst è piena di mosche che si lanciano su zollette di zucchero, finché non cadono morte sul fondo della teca. Nella terza teca invece c’è un robot che analizza i vetrini al microscopio.

(Sembra vera la persona dentro la terza teca, ma vi giuro, non lo è).


Eccoci al nono piano, nonché l'ultimo; qui c’è una porta, dietro ad essa c’è un corridoio buio, non si vede davvero nulla. Qui dentro se non si allunga una mano o se non si stringe il corrimano non si riesce proprio a proseguire. Si va dritti, si girano angoli, per qualche minuto si sta così al buio, potendo usare solo il tatto. Poi però c’è una luce in fondo al tunnel, una luce non bianca come al solito, una luce rosa. Siamo appena entrati nella Upside Down Mushroom Room di Carsten Holler. Qui ci sono dei giganteschi funghi che pendono dal soffitto, a testa in giù. Inevitabilmente una volta giunti in questa stanza non potete che fare un chiaro riferimento ad Alice in Wonderland.


Come raggiungerla:

Fondazione Prada si trova in Largo Isarco 2.

La fermata della metropolitana è Lodi, sulla linea gialla.

Se preferite arrivare in Fondazione in auto potrete comodamente pareggiarla nel parcheggio gratuito per i visitatori.


Prezzi:

Ha un costo, come è giusto che sia; non è gratuita la prima domenica del mese come tutti i musei di Milano, questo perché è un qualcosa che viene costantemente cambiato e mantenuto, inoltre è un qualcosa di privato.

Se vorrete partecipare sia alle mostre permanenti che temporanee il costo del biglietto sarà di 15 euro per tutti coloro che hanno più di 18 anni e meno di 65. Ci sono però delle riduzioni per gli studenti universitari che pagheranno solamente 12 euro.

Se vorrete invece fare visita solo alla mostra temporanea o unicamente a quella permanente pagherete 10 euro il biglietto intero e 8 euro quello ridotto.

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